PER NON RIMPIANGERE GIANNI LETTA: A PALAZZO CHIGI ARRIVA CATRICALÀ

Pubblicato il da Johnny7

Di Malcom Pagani sul fatto quotidiano del 17/11/2011

 

Chi lo conosce bene sostiene che il suo capolavoro Antonio Catricalà l’abbia compiuto nel 1997, da quarantacinquenne capo di gabinetto di Antonio Maccanico, ministro delle Poste del governo Prodi.
Maccanico stava limando la legge sul mercato televisivo, quella che (ricordate?) doveva mandare Rete 4 sul satellite.
Silvio Berlusconi minacciava di scatenare la piazza, Maccanico vacillava, il centro-sinistra come sempre tentennava.
FU CATRICALÀ a estrarre dal suo cilindro di virtuoso del diritto la soluzione.
Scrisse nella legge che Rete 4 sarebbe sicuramente andata sul satellite, ma la data l’avrebbe decisa l’Authority per le Comunicazioni (tenetevi forte) “in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo ”.
Una supercazzola tra le più strepitose delle storia pur travagliata del diritto italiano.
Anni dopo, intervistati da “Report”, Maccanico e il suo sottosegretario Vincenzo Vita ammisero di non essersi resi conto
della magia.
Rete 4 non è mai andata sul satellite e la carriera di Catricalà da quel momento è decollata.
Avvocato dello Stato a soli 27 anni, a trenta ha rappresentato il governo nel processo Moro.
Poi è diventato consigliere di Stato, e si è imposto come capo di gabinetto, prezioso braccio destro per ministri di ogni colore.
Con il socialista Antonio Ruberti negli anni del governo Andreotti che chiude la prima repubblica, con Giuliano Urbani nel primo governo Berlusconi, con Franco Frattini nel governo “tecnico”Dini, con Maccanico nel governo Prodi.
E sempre apprezzato perché invenzioni geniali come quella del “congruo numero di parabole” risolvono i problemi, almeno fino a quando gli elettori non se ne accorgono.
Tecnicamente bravissimo, simpatico nei rapporti personali, in possesso di una rete di relazioni fittissima, Catricalà è riuscito in questi anni a risultare sempre affidabileper Silvio Berlusconi senza mai perdere la simpatia del
centro-sinistra.
COSÌ NEL 2001 B. lo vuole a palazzo Chigi come segretario generale della Presidenza del Consiglio, di fatto braccio destro di Gianni Letta (cosicché adesso che ne prende il posto potrà non farlo rimpiangere a B.).
Quattro anni dopo un nuovo salto: la presidenza dell’Antitrust, scelto da Berlusconi per gestire un momento complicato.
Il precedente presidente, Giuseppe Tesauro, aveva lasciato sulla scrivania le pesantissime conclusioni di un’indagine conoscitiva sul mercato televisivo.
C’era scritto che Mediaset aveva una posizione dominante, cosa tanto nota da provocare il sarcasmo del presidente Fedele Confalonieri: “Ma qualcuno deve pur essere dominante. Come in una corsa, qualcuno deve stare davanti”.
Ma soprattutto il documento indicava le soluzioni.
Primo: chi possiede le antenne non può possedere anche la concessionaria di pubblicità.
Secondo: l’Auditel, che rileva gli ascolti tv e determina quindi i fatturati pubblicitari, non può essere di proprietà delle tv. Terzo: nel passaggio al digitale terrestre le reti Mediaset e Rai che hanno le frequenze analogiche non se le possono tenere tutte, un po’ne devono mollare.
Catricalà ha messo la relazione di Tesauro in un cassetto e non ha affrontato l’argomento fino al 2007, quando ha tuonato in nome del libero mercato contro la legge Gentiloni (mai arrivata al traguardo) che ipotizzava un tetto al fatturato pubblicitario Mediaset.
NEL 2009 ha festeggiato i cinque anni della relazione Tesauro ricordandosi di aver trascurato la pratica: “Da tempo manca un faro dell'Antitrust sul settore, l'ultima indagine conoscitiva è del 2004 ed è un settore che si evolve velocissimo”, ha detto.
E ha varato una nuova indagine conoscitiva, in corso da due anni senza risultati, visto che il settore continua a evolversi velocissimo.
Avvicinandosi la fine del settennato all’Antitrust, Catricalà è stato candidato alla Consob, all’Authority energia e a quella
sui Lavori pubblici.
Dopo tre fumate nere è arrivato il colpaccio di palazzo Chigi, che fa curriculum ma danneggia il portafoglio: sfuma il ricchissimo doppio stipendio da presidente dell’Antitrust più consigliere di Stato, di cui l’insigne giurista ha dichiarato di dover beneficiare per obbligo di legge

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