«Ecco perché la suora è credibile»

Pubblicato il da Johnny7

Le motivazioni della sentenza che ha sancito la condanna di Padre Fedele

 

Di Marco Cribari su Calabria ora del 17/11/2011

La suora è credibile, Padre Fedele è un religioso «vittima dei propri istinti sessuali».
E' questo, in estrema sintesi, il succo della sentenza che lo scorso 6 luglio sancì la condanna del frate e del suo segretario, Antonello Gaudio, riconosciuti colpevoli di violenze sessuali (anche di gruppo) compiuti ai danni di una monaca siciliana.
Proprio ieri, i giudici hanno depositato le motivazioni di quel verdetto, culminato nei nove anni e tre mesi di pena inflitti a
Bisceglia e nei sei anni e tre mesi accordati a Gaudio.
Per spiegare la condanna, i giudici si sono anzitutto richiamati alla sentenza della Cassazione che recita: «Le dichiarazioni della persona offesa, vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilità dell'imputato, non necessitando le stesse di riscontri esterni».
E in effetti di “riscontri esterni”, in questa vicenda, ce n'erano davvero pochi.
Non a caso, tutto ruotava intorno alla denuncia presentata da suor T. a ottobre del 2005, in un ufficio della questura romana.
A quel tempo erano passati già cinque mesi dall'ultimo e presunto stupro da lei subito.
Cinque in tutto, che a partire dal febbraio di quell'anno, avrebbero scandito il suo periodo di permanenza all'Oasi francescana. Già, ma perché dopo il primo abuso, la donna continuò a soggiornare nella struttura di via Asmara con la prospettiva di subirne degli altri?
«Per vergogna», spiegano i giudici, e per sorta di «dissociazione» che da un lato le impediva di ribellarsi alle violenze, dall'altro le consentiva di proseguire il suo lavoro all'Oasi come se niente fosse.
Questo per ciò che riguarda la personalità della parte offesa. «E' depressa», diranno i periti del pubblico ministero durante il processo, facendo risalire la sua patologia proprio alle violenze subite.
«E' schizo-affettiva e con disturbi dell'umore» replicheranno i consulenti della difesa, tentando di minarne la credibilità. Alla fine, però, i giudici hanno ascolto solo ai primi.
Per quanto riguarda, invece, la personalità dell'imputato, il collegio giudicante non ha dubbi: quello di Fedele è uno
stile di vita «scabroso».
A supporto di questa tesi, vengono i dialoghi piccanti tra il monaco e altre donne, documentati dalle intercettazioni telefoniche e, soprattutto, i racconti di altre presunte vittime di violenza venuti fuori nel corso delle indagini.
Quasi tutte straniere, quasi tutte ex ospiti dell'Oasi francescana.
Racconti spesso «contraddittori» ammettono i giudici, e magari finalizzati all'ottenimento di «permessi di soggiorno per motivi di giustizia».
Ciò nonostante, per i giudici rappresentano la dimostrazione pratica di come i comportamenti del frate non siano «in linea con l'abito talare».
Anche questo servirà a motivare la condanna.
Riguardo al complotto: «durante il processo non è emerso alcun elemento a supporto di questa tesi».
Che dietro all'intera vicenda ci fosse un piano per sottrarre a Bisceglia il controllo dell'Oasi, è rimasto dunque un semplice pensiero partorito dalla mente del diretto interessato, ovvero lo stesso Padre Fedele.
«Del resto, perché la suora avrebbe dovuto immolarsi, accettando le pesanti conseguenze giudiziarie della sua denuncia?».
Una deduzione, quella messa nero su bianco dal giudice estensore, che anticipa di fatto la resa dei conti sintetizzata in poche ed efficaci battute: «Non c'è alcun elemento per dimostrare che il racconto della suora sia fantastico».
Del resto, l'avevamo anticipato in partenza: nei casi di violenza sessuale, per la giurisprudenza, il racconto della parte offesa è di per sé una prova e tocca alla difesa dimostrarne l'inattendibilità.
In caso contrario, il verdetto è di colpevolezza.
Sempre i giudici, risolvono altre due diatribe.
La prima: la supposta impotenza di Bisceglia all'epoca dei fatti.
«Nessuna disfunzione erettile» per i periti della Procura e capitolo chiuso.
La seconda invece riguarda suor T. Dalla visita ginecologica effettuata all'inizio del 2006, emerse che non era più vergine.
E dal momento che lei stessa, aveva dichiarato «di non aver avuto rapporti sessuali prima di prendere i voti», quella “deflorazione”, suggeriscono i giudici, non può essere altro che il frutto della violenza subita.
Secondo i tecnici della difesa, invece, lo stato dell'imene dimostrava una «lunga e prolungata attività sessuale», ma questo dato non è stato ritenuto scientificamente accertabile dal collegio dei togati.
Allo stesso modo, non si è dato credito ad Alin Ancuta, un romeno già ospite in via Asmara.
O meglio, se n'è dato solo alla sua deposizione in aula, quando smentì di aver avuto rapporti con suor T. In precedenza, invece, aveva inviato via fax, una lettera dalla Romania dichiarando l'esatto contrario.
A quel documento, era allegata anche una copia del suo passaporto, proprio per dimostrare l'autenticità dello scritto. «Ma Alin ha smentito decisamente tale assunto - è scritto in sentenza - Sebbene in taluni passaggi della sua deposizione appaia non genuino».
Genuina è invece la suora, anche «quando si contraddice».
E’ un altro aspetto valorizzato nel verdetto stilato dai giudici cosentini che, in attesa del processo d’appello, scrive la parola fine sulla disavventura giudiziaria del monaco ultrà.
Nel frattempo, come ogni anno, lui è già in Africa.

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